Per qualche giorno ho nutrito l’illusione che i festeggiamenti per l’Unità d’Italia stessero restituendo al Paese e ai suoi abitanti un autentico senso di appartenenza a una storia comune, e soprattutto a valori condivisi, rappresentati dalla Costituzione. Ho perfino pensato che poteva essere un punto di svolta civile, prepolitico, non legato cioè alle continue e insopportabili lacerazioni provocate da un malinteso bipolarismo. Mi sono riconosciuto nelle parole del presidente Napolitano, e mi ha fatto piacere vedere strade e teatri pieni di gente sorridente, con la bandierina tricolore e la coccarda. Il fatto è che pensavo all’Italia dello “stare insieme”, quella che riesce quasi sempre a trovare una soluzione ragionevole ai problemi e alle difficoltà, facendo appello a tolleranza, umanità, laboriosità, onestà, amicizia.
Mi sono ricordato di quando, da ragazzino, studiavo il Risorgimento su libri pieni di retorica nazionalista, ma comunque capaci di emozionarti per una epopea nazionale all’interno della quale non era così difficile riconoscere almeno qualche risultato utile per tutti: la lingua comune, l’istruzione, la salute, la democrazia. Mi sono sempre sentito “italiano” forse perché, nato a Firenze, a causa dei trasferimenti cui mio padre doveva sottoporsi per lavoro, ho vissuto non solo in Toscana, ma anche in Abruzzo e nel Veneto, prima di scegliere, da adulto, Milano e la Lombardia. Perciò ho amici e buoni ricordi in mezza Italia, e l’altra metà l’ho conosciuta negli anni dell’impegno sociale, nelle associazioni delle persone con disabilità, ad esempio. Quando, da presidente della Uildm, sono stato praticamente in tutte le regioni italiane, vedendo da vicino le differenze e i punti in comune, apprezzando il lavoro difficile che famiglie e persone con disabilità devono compiere ogni giorno per combattere contro pregiudizi, barriere, ingiustizie, carenze normative e di servizi.
Ero dunque quasi sereno, sia pure senza che ve ne fosse davvero motivo, solo per una sensazione gradevole di una ventata di aria buona in un periodo così difficile di convivenza politica e sociale. Poi mi sono imbattuto, ieri, nella copertina del settimanale Panorama. Il titolo non ammette sfumature: “Scrocconi”. L’immagine non potrebbe essere più chiara: una carrozzina stilizzata, su cui siede un Pinocchio altrettanto stilizzato. Il sommario che rimanda a un’inchiesta “esclusiva” recita così: “Invalidità inesistenti, certificati falsi, pensioni regalate. Ecco chi sono i furbi (e i loro complici) che fregano l’Inps. A nostre spese”. Ho avuto un trasalimento e un senso di nausea. Mi sono ricordato subito dei manifesti del nazismo che hanno accompagnato la campagna per la sterilizzazione dei disabili e poi per l’eutanasia, il programma T4. Anche allora, in piena crisi economica, comparvero manifesti che legavano strettamente i sacrifici economici della povera gente agli sprechi per tenere in vita persone “improduttive”. I simboli infatti servono, in epoche di questo tipo, a deviare l’attenzione verso nemici sui quali scaricare le tensioni sociali.
In Italia la campagna sui falsi invalidi, partita su alcuni dati di fatto, comunque circoscritti e rispetto ai quali è necessario approfondimento, anche statistico (come fa da tempo, con grande rigore, la Fish, Federazione Italiana per il superamento dell’Handicap), si è trasformata nel tempo in un esempio vergognoso di come si possono deviare risorse e competenze pubbliche verso obiettivi di drastica riduzione complessiva della spesa sociale, eliminando, attraverso procedure discutibili e spesso disumane di controllo dello stato di invalidità civile, pensioni e indennità assolutamente legittime (come testimonia l’altissima percentuale di ricorsi alla magistratura vinti dai cittadini). Lo scriviamo e lo documentiamo da tempo. Le fonti non mancano, basta consultarle, basta fare bene il mestiere di giornalista, che richiede competenza e umiltà. E invece Stefano Vespa, fratello del più noto Bruno, si lancia in alcune pagine di densa scrittura, che sono semplicemente il copia e incolla delle veline dell’Inps, già smentite dagli stessi medici dell’Istituto. L’inchiesta esclusiva fa cadere le braccia e non solo.
Ma al di là del giudizio sul pezzo pubblicato da Panorama (quanta distanza col newsmagazine al quale ero abbonato da giovane, quando lo dirigeva Lamberto Sechi…) la questione più grave e inquietante è la scelta di dedicare la copertina del settimanale a questo tema, nelle giornate dell’incubo nucleare, della crisi libica, dei tanti processi al premier, del federalismo che passa, della riforma della giustizia, tanto per citare argomenti assolutamente bipartisan. Il direttore di Panorama non ha certo scelto questo tema in modo casuale. C’è un pensiero dietro, c’è sicuramente un disegno ben preciso. Lo stigma di quella copertina è gravissimo: in copertina non si distingue, si fa di ogni erba un fascio. Si indica la carrozzina, simbolo riconoscibile da tutti per denotare la disabilità, quella vera. Ritengo questa scelta assolutamente vergognosa e scorretta deontologicamente. Ovviamente siamo in regime di libera informazione, e l’art. 21 della Costituzione vale per tutti, anche per Panorama. Ma il danno arrecato questa volta a un’intera parte del Paese è troppo grave per passare in silenzio.
Carissimi amici lettori...su suggerimento di A. Bidini (uno dei nostri ospiti di Casa Blu) stiamo creando una rubrica fissa (che sarà da lui gestita) sui diritti dei più deboli: I DIRITTI CAPLESTATI... ci è sembrato giusto far partire il tutto da questo articolo, espressione di come,purtroppo, molti pensano la disabilità. Ma non tratteremo solo di disabilità....
RispondiEliminaGentile Direttore, sono Luigi Vittorio Berliri, e sono il presidente di una cooperativa sociale che gestisce due (belle!) case famiglia per persone con grave disabilità a Roma: Spes contra spem (www.spescontraspem.it). Preoccupato per le vicende internazionali, come qualsiasi mio concittadino immagino, spero di trovare sui settimanali approfondimenti e riflessioni.
RispondiEliminaLa Libia sull’orlo di una guerra che potrebbe trasformarsi in un conflitto mondiale, che vede la nostra nazione in prima linea, il Giappone, il rischio nucleare (vorrei sapere se davvero c’è un rischio radioattività o è una montatura…). Stanno iniziano importanti processi che vedono coinvolto il nostro Primo Ministro e anche in questo caso mi piacerebbe conoscere tutti i punti di vista…, anche quello del suo giornale (in realtà a me piacerebbe conoscere solo i fatti, non i punti di vista, ma questa è illusione, e lo so bene).
E cosa sceglie come copertina il suo giornale oggi? Una sedia a rotelle con pinocchio sopra e a caratteri cubitali “SCROCCONI”. Associando così l’immagine dell’invalido a quella dello scroccone. Bomprezzi oggi nel suo blog (http://bl\og.vita.it/francamente/) acutamente annota: "I simboli infatti servono, in epoche di questo tipo, a deviare l’attenzione verso nemici sui quali scaricare le tensioni sociali".
Bene, benissimo, la lotta ai falsi invalidi, indifendibili da chiunque! Mi sarebbe però piaciuto leggere sul suo giornale anche una riflessione su come si potrebbe davvero fare la lotta ai falsi, senza mettere in angoscia i “veri” invalidi, spesso chiamati a improbabili visite di controllo. Basterebbe incrociare le banche dati (un cieco totale con la patente, tanto per fare un esempio….).
Guardi che sono proprio le Persone con disabilità le prime a indignarsi contro i falsi invalidi, i falsi permessi per i posteggi (spesso usati dai parenti come un diritto…) le false pensioni che abbassano gli importi disponibili per tutti…
Ma la sua copertina invece rischia di fare di tutta l’erba un fascio (il fare dell’erba un FASCIO era abitudine di altri 70 anni fa….) e di dare una comunicazione offensiva per le tante persone che in carrozzina ci vivono per davvero, additate dal suo giornale come persone “scroccone”.
Io vorrei invece raccontare dei VERI invalidi, della bellezza delle loro storie di vita, a prescindere dalle difficoltà, vorrei poter dire di come sia difficile spiegare alle istituzioni che per dare davvero una vita degna alle persone che vivono in casa famiglia, e che sono li perché una famiglia non l’hanno più, e da soli davvero non potrebbero autoimboccarsi, autovestirsi, autolavarsi: hanno bisogno di essere aiutate 24 ore su 24… e questo aiuto ahimè ha un costo… (o vogliamo ucciderli perché improduttivi o troppo costosi?)
Vorrei poterle raccontare le volte in cui, per portare mio figlio a scuola, trovo il parcheggio lui riservato dai veri scrocconi, persone cioè normalissime, senza neppure il tagliando riservato agli invalidi, che vivono realmente fregandosene e loro sì, scroccando…
Vorrei infine aprire una riflessione sulla “vita” sulla sua dignità anche nelle difficoltà, nella possibilità di essere davvero felici, della Speranza, dell’eutanasia, dell’eugenetica. Mi piacerebbe che piuttosto che accanirsi su Welby ci si fermasse a riflettere che proclamare per le persone con gravissima difficoltà il diritto alla vita significa stanziare risorse, affinché questo sia possibile, significa SCEGLIERE quali sono le priorità.
Per esempio, se abbiamo pochi soldi, cosa costruiamo prima? Un centro congressi che costa 280 milioni di euro (la Nuvola di Fuksas a Roma) o stanziamo 10 milioni di euro per le case famiglia per persone VERAMENTE disabili?
Alla Politica il compito di rispondere a queste domande…
(Alla stampa il compito di informarci delle risposte e a noi cittadini il dovere di scegliere).
Roma, 19 marzo 2011.
Luigi Vittorio Berliri
(Dal post "Prima risposta a Panorama)
Gentili Direttore e Redazione tutta, sono una volontaria, meglio, un’amica, di una delle case famiglia dirette da Luigi Vittorio Berliri, in particolare di Casa Salvatore.
RispondiEliminaNon mi capacito del fatto che abbiate selezionato per la copertina di questa settimana un argomento tanto sconclusionato, non perché non esista il problema dei falsi invalidi e non sia da combattere, ma perché appare strano che in una settimana così densa di argomenti ben più gravi, ma che evidentemente non hanno attirato la vostra attenzione, vi occupiate di questo. Ne prendo atto, anche se mi piacerebbe, ma qualcosa mi dice che non lo farete, che parlaste anche dei tagli mostruosi che il nostro governo ha praticato sul welfare in genere e quindi anche sulle case famiglia, quelle dove ci sono i veri invalidi, mettendone alcune a rischio chiusura. Chissà, magari con uno sforzo, per esempio approvando la famosa legge anti corruzione che giace da mesi nei cassetti dei governanti, qualche soldino uscirebbe dalle tasche del nostro oculato ministro dell’economia.
Guai a fare di tutte le erbe un fascio, è un argomento delicato che va trattato mettendo in evidenza tutti gli aspetti, non solo quelli che fanno un inutile e anche dannoso rumore.
Buona giornata a tutti
Donatella Nicolini (operatrica a Casa Salvatore)
(Dal post "In risposta a Panorama")
È difficile ritornare indietro e pensare a quello che abbiamo ora, e a quello che la “speranza” ci è in debito singolarmente e…socialmente parlando. Non hp più voglia di fare il critico, verso una società che dicono in crescita, ma che è, invece, calpestata nei suoi diritti umani e sociali; verso l’intera vita: devo essere obiettivo, la categoria è quella del solito disabile sia psichico che fisico. Socialmente siamo cresciuti, qualche volta la gente ora ci guarda negli occhi oltre che il resto del corpo. Resta ancora un “buco nero”, la mente! Chi può considerarci “esseri” se non ci fanno esistere socialmente? Può bastare l’articoletto sul giornale per dimostrare che esistiamo? Oggi in questo mondo, in questa società, in questo contesto e con certe strutture sempre più organizzate e sempre meno “umanizzate”, il disabile diventa sempre più un problema. Il sistema sociale e culturale non è ancora pronto all’integrazione, i pregiudizi ci sono ancora, soffocati, ma ci sono. Si fa di tutto per riabilitare un disabile fisico solo fisicamente, ma i suoi sentimenti, la reale voglia di vivere dove va a finire? Tra i due passi in più, ed il sorriso, il contatto, il desiderio di amare o di odiare, c’è l’abisso. La stessa legge n. 104 del 1992 dichiara il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata. I diritti di libertà, quale libertà? Quella persa dietro l’adolescenza famigliare, o quella repressa dentro le pulsioni sessuali? Il sesso! Forse non ne abbiamo diritto? Forse non siamo neanche considerati animali . anni nascosti dietro a questa assurda repressione psicofisica. Per compensare il tutto c’è l’assistente domiciliare o accompagnatore che teoricamente, oltre a rispettare gli orari di lavoro, dovrebbe rispettare le idee e quindi la libertà del proprio utente, dovrebbe secondo le regole dei diritti e dei doveri della costituzione, discrezione e segreto professionale. Quanti si identificano in queste righe, quanti hanno capito e stanno soffrendo per questo diritto soffocato, quanti vedono pian piano svanire ogni speranza? Molti purtroppo non hanno nessun tipo di informazione al riguardo, sente l’impulso ma non sa cosa fare, cosa pensare. La stessa frustrazione diventa una patologia pericolosa e allora cosa “rifare”? crearsi una ragione o crearsi una “beatificazione dei sensi” e quindi dei sentimenti? Prendersi la nomina di depravato? Ci sono due o tre punti da esaminare. Perché l’assistente ha “l’obbligo” di rinunciare ad un servizio di trasporto per un disabile su carrozzina, mentre per il disabile psichico è facoltativo? Se è vero che esiste la differenza tra un interdetto e uno non interdetto, perché si continua a confondere i due tipi di utenti? La risposta c’è….
RispondiElimina(A. Bidini “I diritti calpestati. Alcune principali domande” da “Il Gabbiano” Luglio 1996)
La storia di ogni “emarginato” sociale ha, come caratteristica, la sua infanzia. L’infanzia caratteri stizza ogni essere, in particolare con disagio psicologico. Il disabile appartiene a questa categoria, fin dalla nascita non è “considerato”, si aspetta il responso clinico per considerarlo, anche propriamente alla “vita sociale”. Il dottore dopo ogni parto dichiara “tutto bene, è un bel maschio (o femmina) ed è…sano”. È il primo sospiro di sollievo che ogni genitore ha, ma se questo sospiro non arriva (o avviene tardi) cosa succede a questo piccolo essere appena nato? Il primo a dare un accenno di diagnosi è il classico pediatra che consiglierà ai “poveri” genitori un buon neurologo. Il calvario psicologico è appena iniziato per i genitori ma soprattutto per il bambino che da qesto momento diventa il vero “paziente”. Anno dopo anno dà lavoro a tutti: psicologi, sociologi, neurologi psichiatri, fisiatri, logopedisti, fisioterapisti, assistenti sociali, assistenti domicliari ecc…, e anno dopo anno il paziente diventa impaziente verso quel mondo che “vede” filtrato dalla propria patologia, vorrebbe fare le cose che i cosiddetti normali fanno: avere una fidanzatina, uscire da soli, portare la macchina ecc. Piano piano prende coscienza di se, si rende conto di avere delle esigenze psicologiche. Il disabile diventa sempre più emarginato da questa diagnosi negativa e primitiva. Ma riesce, riesce ad andare avanti: pur socialmente predestinato. La scuola diventa un circolo vizioso di non competitività, il disabile degli anni 60-70 era inserito solo nella scuola privata aiutato dalle scarse convenzioni U. S. L. ma sempre in contatto con la storia patologica. Solo dopo si può dire che alcune situazioni siano cambiate oggi per chi può frequentare la scuole pubbliche “normali” c’è l’insegnante di sostegno, ma è una goccia d’acqua nel deserto. Il disabile diventa “adulto” molto presto, è solo una questione d’età, lo sviluppo psicologico conta poco! Si tenta di esasperarlo con l’iperprotettività e quindi, ghettizzandolo, senza dargli l’opportunità di vivere con le proprie esperienze. Sarà sempre “sorvegliato”, fino a che sparirà, diventando schiavo dei proprio sogni repressi da sempre. Il vero problema sta ancora una volta nella mentalità sociale. Non basta più superare le barriere architettoniche, bisogna superare le barriere psicologiche che ogni persona, disabile compreso, ha. Puntiamo il nostro futuro prossimo su questo obiettivo.
RispondiElimina(A. Bidini- “I diritti calpestati. Storia e riflessioni” da”Il Gabbiano”Dicembre 1996)
Proviamo a non cercare di capire, a considerare la persona disabile un animale o una pianta, l’animale lo i può addestrare cercando di fargli imparare le regole basilari per “condividere” con noi esseri umani; l’orario dei bisogni fisiologici, la cuccia dove dormire, quando e come manifestare gioia o aggressività, insomma lo addomestichiamo, rendendolo schiavo del nostro ambiente casalingo e quindi partecipe delle nostre manie paranoiche individuali! La pianta vegeta ha solo bisogno di acqua, sole concime. Ci pensa la natura con i suoi ritmi a stabile il suo percorso, ma può diventare anche lei un nostro piacere ambientale. Nel viaggio che velocemente ho percorso nei precedenti numeri ho cercato di spiegare le varie necessità che ogni disabile ha o dovrebbe avere. I sentimenti, la vita sessuale, il rapporto con la famiglia, gli assistenti domiciliari eccetera. Ora mettiamo davanti a questo benedetto disabile uno specchio e domandiamogli che cosa vede, al di là di ogni patologia lo specchio È IL RIFLESSO DI OGNI IMMAGINE REALE. Il sogno si cancella con la realtà CHE È IN ESSO RIFLESSA. Il disabile non vede l’immagine fisica di sé ma anche tutto ciò che lo circonda; mani occhi figure, visi, affettività, figure negative che emanano paurose angosce, proibizioni, repressioni, ma davanti a se vedrà sempre il suo primario interrogativo: il futuro, il suo futuro.
RispondiEliminaUn animale nasce libero, con i suoi istinti, così come la pianta, con il suo naturale ciclo, così come “l’uomo normale” che capisce tutto, anche il suo mondo, che fa di tutto per renderlo suo. È già qualcosa quello che ha dietro, ma ciò che ha davanti è la base della nascita: il punto interrogativo lui lo sente e quindi lo vede e non solo dentro uno specchio ma anche attraverso una società che non riesce a capire ciò che vede.
La mia speranza è che qualcuno il significato di queste righe rivolte a tutti quelli che credono a ciò che sentono: i genitori che spesso si auto colpevolizzano, ma sono sempre gli ultimi a mollare, gli addetti ai lavori che, se sono coerenti e onesti, possono e devono pretendere di più da chi ha il vero potere. Ai potenti che forse la parola disabile rappresenta solo tagli sanitari per mantenersi potenti alle elezioni. Agli elettori e quindi al popolo che ci guardasse negli occhi prima di chiamarci tutti con una sola parola che inizia con l’H. A noi che spesso ci c rediamo imptenti, inadattabili, incompresi, incastrati. Dico. Usciamo con la nostra “bandiera” senza paura; una bandiera bianca con un cane che fa pipì sotto una…vecchia carrozzina arrugginita.
(A. Bidini “I diritti calpestati. Lo specchio inquieto del futuro” da “Il Gabbiano” Aprile 1997)
http://www.leggo.it/video.php?id_news=140530&idv=11158
RispondiEliminaL. V. Berliri, presidente dell’ associazione Casa al plurale, concede un’intervista al giornalista di “Leggo” M. Pas. In cui mostra il suo dissenso in merito ai tagli al sociale promossi dall’attuale governo con la nuova finanziaria: leggiamo questa intervista…
«Le nostre case famiglia ricevono già la metà dei fondi»
Luigi Vittorio Berliri, presidente di Casa al Plurale, i tagli della manovrà colpiranno anche le
case famiglia?
«Mi auguro di no, ma sono preoccupatissimo. Se il governo taglia i fondi ai Comuni, come faranno questi a garantire i servizi essenziali come l’assistenza ai disabili?».
Dai dati pubblicati sul vostro sito emerge che assistere una persona con grave disabilità costa 286 euro al giorno e il contributo del Comune di Roma è di 127 euro, meno della metà. Dove prendete l’altro 50%?
«Sono anni che va avanti così. Siamo costretti a chiedere aiuto ai privati. Per fortuna in questa città ci sono molte persone di buona volontà, sensibili al problema. Io lo trovo profondamente ingiusto. Noi facciamo un servizio pubblico a nome della città di Roma per i suoi cittadini più deboli».
Un servizio pubblico come la mobilità?
«Esatto. Quello garantito con gli autobus è un servizio pubblico, no?. Ora si immagini cosa accadrebbe se il sindaco Alemanno andasse in giro a chiedere la beneficenza per far camminare gli autobus. Il problema è che da quando sono nate le case famiglia 15 anni fa i fondi stanziati sono sempre gli stessi. E intanto il costo della vita è aumentato e quello del lavoro raddoppiato».
Cosa dice il Comune?
«Abbiamo informato tutti i consiglieri comunali e la risposta è stata unanime: qualche mese fa destra e sinistra hanno votato una mozione in cui sollecitano il sindaco ad aumentare le rette. Ultimamente ho scritto all’assessore alle Politiche sociali Belviso per sapere che fine avesse fatto la mozione e la risposta è stata: “Ahimè, ti ha risposto il governo con la manovra”».
Perché la politica non si occupa dei disabili?
«E quanti voti vuole che spostino? Sono pochi».
(M.Pas.)