Quando mi chiedono di parlare della mia esperienza del servizio civile, lo faccio sempre con piacere.
Oggi, quando sto scrivendo queste poche righe è il 16 maggio 2011…sei mesi esatti da quando è terminata la mia esperienza di volontaria del servizio civile presso la casa famiglia “Approdo”, ma mi sembra ieri!
Non saprei da dove cominciare a parlare di loro, dei ragazzi, di me e della mia vita nell’ultimo anno…se iniziare dalla fine, da come sto adesso, o se dall’inizio quando tutto è cominciato!
Quando ho saputo che il 16 novembre 2009 avrei iniziato il mio anno di servizio civile, ero felicissima di iniziare per mettermi in gioco. I primi giorni sono stati difficili, non c’è dubbio…i ragazzi erano evidentemente diffidenti e indifferenti nello stesso tempo: si sono visti arrivare otto persone (di cui sette ragazze) all’improvviso, abituati a vivere solo con gli educatori.
Personalmente ci ho messo un po’ di tempo per ingranare, non avevo aspettative particolari perché non conoscevo affatto le case famiglia…quindi ero “neutra”.
I primi tempi sono stati duri… dovevo conoscere una realtà che mi era totalmente ignota: dovevo conoscere i ragazzi, gli educatori, gli altri colleghi, i volontari…e dovevo farmi conoscere a tutti loro. Ero presa dalla smania di dover fare per forza qualcosa, fare fare fare…altrimenti il mio tempo sarebbe stato sprecato e la mia funzione non svolta. Poi, con l’aiuto della mia OLP, con il confronto continuo con gli altri volontari del servizio civile, ho capito che l’agire e il fare erano meno importanti dello stare, dell’essere con loro, i nostri ragazzi.
Così piano piano, il frenetico tentativo di fare sempre è diminuito, per fermarsi in uno stato di disponibilità pacata e serena: è capitato di stare seduta sul divano dopo pranzo a vedere un po’ di televisione con i ragazzi e ridere insieme, oppure in ufficio a fare due chiacchiere con i “colleghi” del servizio civile.
Il tempo passava, i mesi passavano e i ragazzi iniziavano a prendere confidenza con me, e anche io con loro…solo il tempo, si sa, permette la conoscenza.
Ci sono stati dei momenti difficili: ogni volta che un ragazzo andava via, era difficile per me pensare che il giorno dopo non ci sarebbe stato…non ci sarebbe stato per fare colazione insieme, per pranzare insieme, per fare delle commissioni insieme, soprattutto se il ragazzo che andava via era quello con cui si aveva stretto una relazione.
Il progetto a cui ho partecipato si chiamava “Battere e levare”come i tempi nella musica: io però lo inteso così, come qualcosa che c’è, lascia il segno e se ne va, di continuo, però c’è stata e ci sarà per sempre!Così come la mia esperienza al quinto piano!
Ma ci sono stati anche momenti di gioia intensa: le feste di compleanno, le gite di domenica o anche semplicemente un pranzo tranquillo, senza la tensione che spesso aleggiava in sala da pranzo per qualcosa capitata non proprio felice. E poi le risate, le battute, gli scherzi e le prese in giro…i miei ragazzi, i nostri ragazzi!
Poi c’è stata la festa di fine servizio civile: 15 novembre 2010. Era passato un anno esatto da quella prima volta che ero entrata all’Approdo…all’inizio sembrava una festa come tante ce ne erano state in quell’anno…i palloncini, il tiramisù, i piatti di plastica e le pizzette…poi è partito il video delle emozioni: foto e canzoni che rappresentavano esattamente il quotidiano vissuto da tutti, educatori, volontari e ragazzi, in un anno….ne sono scese tante di lacrime quella sera, lacrime di tristezza, di paura, di gioia, lacrime piene di emozioni inspiegabili. Quella sera un ragazzo mi disse, piangendo “Quando sono entrato qui dentro, non pensavo di trovare una famiglia e invece…” con la voce rotta dal pianto non ha continuato, ma la continuo io adesso: “invece ho trovato una famiglia che mi vuole bene”.
Sono loro a darti la possibilità e il permesso di entrare nella loro vita e nel loro mondo, nella loro sofferenza e nel loro dolore in punta di piedi…sono loro che ti dicono o meglio, ti fanno capire con la loro pura ingenuità, che hanno bisogno di te e che sei tu che vogliono in quel momento, per una confidenza, per un problema a scuola o con le ragazze e sapere che grazie a te hanno risolto un piccolo problema o un dubbio, grazie a te hanno preso un bel voto all’interrogazione di italiano, grazie a te hanno preso la patente, bè direi che, davanti a questo, tutto passa in secondo piano. Ed è difficile chiudere dietro di sé la famosa porta dell’interno 9 o 10 senza portarsi con sé, nella strada fino alla fermata dell’autobus o a casa le emozioni provate in sei ore di turno, emozioni di rabbia, di tristezza o di gioia…
Nessun commento:
Posta un commento